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IN INTERNET OGGI “MADRE MARGHERA / POESIE E FOTO DI ANTONELLA BARINA”
(1997), video ideato e prodotto da Antonella Barina, regia di Etta Lisa Basaldella, Venezia, San Stae, 5 agosto 2018, dalla raccolta “Madre Marghera – poesie 1967-1997” |
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https://www.youtube.com/watch?v=_j3wt7Atzak |
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Giornata storica oggi 5 agosto 2018 per una autoproduzione che ha saputo “pronunciare l’impronunciabile”, principio base di una parte della mia poetica che ho messo al mondo a prescindere dai prevedibili rischi. “Madre Marghera” è in primo luogo la raccolta che ho “edito in proprio” nel 1997, primo atto pubblico di quella che diventerà poi con Edizione dell’Autrice l’autoeditoria - nuovo termine che proprio da Edizione dell’Autrice prende nome - consapevole e continuativa. Questa parte della mia produzione poetica viene solitamente definita impegnata, civile e di denuncia, invece semplicemente corrisponde al mio bisogno di metabolizzare il disagio (non ho bisogno di “impegnarmi” per essere come sono), di far comprendere le ragioni di tutto ciò che di selvatico la sfera civile quotidianamente sacrifica e di esprimermi in una delle forme intellegibili alla razza umana, forse ancora la meno corrotta: la poesia. |
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Antonella Barina (Venezia, 1954), poeta, drammaturga, giornalista, scrive su Marghera dal 1967, nel 1997 autoedita il poema Madre Marghera che esplora per la prima volta il punto di vista dell’abitante sulla zona industriale di Venezia. Diversi i livelli di lettura dell’opera, esempio ante litteram di scrittura autobiografica in forma poetica e dichiarato intento alchemico. La nuova edizione curata nel 2018 da Helvetia Editrice è arricchita da Margaria, primo saggio critico sulla zona industriale, scritto parallelamente dalla stessa autrice e aggiornato da una nuova visione fondata su una nuovissima ipotesi etimologica. (Helvetia Editrice) |
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UNA COSCIENZA “DI CLASSE” INEDITA |
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ANTONELLA BARINA
A Marilisa Insani
sorella giovane non dimenticata
e a Carla Beccaria Insani
sua madre
maestra di scrittura e libertà |
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In Madre Marghera ho raccolto i frammenti di me e del luogo che più di ogni altro mi è matrice, al di là delle mie fughe in giro per il mondo e di quella più evidente e illusoria, che oggi mi fa risiedere a Venezia. Nel riappropriarmene, mi libero di un ingombrante rimosso, peso difficile da portare, tradottosi negli anni in eccesso di coscienza.
Ricercando una logica, una mia logica, nelle impressioni accumulate negli anni, ho cercato di ricostruire – avendo titolo per farlo, di abitante della zona industriale – la prospettiva di chi, senza mai essersene andato davvero, ritorna.
Ma il percorso, in questa fase iniziale, è piuttosto di chi ha vissuto per anni al di fuori dei perimetri delle fabbriche, al cui interno soltanto ora, ancora eccezionalmente, è dato accesso.
(…)
Che vi sia dolore fino in fondo è mio privilegio, perché questo accresce la profondità del procedimento. In tutto questo tempo ho sperimentato un’autoanalisi in chiave postindustriale, un esercizio di sopravvivenza in ambiente censorio, un inferno di specchi in cui ho rischiato di perdermi.
Ho lavorato partendo da una coscienza “di classe” inedita: quella dell’abitante che dalla strada osserva le fabbriche, non essendo concesso ai residenti varcare i recinti industriali, così ho finito per amare la strada più di qualunque altra cosa. Per leggere l’esclusione come titolo di merito.
Eppure: non vi fosse stata Marghera sarei mai diventata viaggiatrice?
Nell’assoluta deprivazione, infatti, fioriscono risorse insospettate: ciò che auguro anche al territorio di cui parlo. Con l’atto di pubblicazione mi libero anche di buona parte del rimosso che, come giornalista, non ho potuto testimoniare.
Rilascio le scorie del processo di liberazione, nella convinzione che non stia più a me riciclarle, né aiutare altri a farlo. Poi le riprendo per dissolverle, definitivamente, in primo luogo dentro di me. |
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Antonella Barina
in Madre Marghera
poesie 1967/1997
Venezia, 1997 |
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